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Oscar 2019: Le mezze stagioni di Hollywood

  • Immagine del redattore: Mind Out
    Mind Out
  • 9 mar 2019
  • Tempo di lettura: 6 min

a cura di Isabella Gorgoni Gufoni

Milioni di cinefili il 25 febbraio si sono collegati alla Notte degli Oscar, aspettandosi una cerimonia come sempre carismatica, divertente e irriverente, se siete tra questi, per voi la realtà dello show è stata più amara del solito. Le cerimonie passate erano ben differenti, sembrano lontani i giorni in cui Seth MacFarlane nella edizione 2013, omaggia gli anni 50 con stacchetti jazz alla Frank Sinatra, e allo stesso tempo viene accusato di sessismo per alcune battute alla Peter Griffin, il suo meschino ma buffo alter ego; oppure Neil Patrick Harris nel 2015 sale sul palco completamente in mutande omaggiando il piano sequenza del film Birdman rischiando di rasentare il ridicolo, episodi che fanno pensare con nostalgia ad una Hollywood coraggiosa, pronta a osare per far ridere il suo pubblico, esattamente come nei film che porta in gara.

Quest'anno l'Academy senza darci un motivo valido, ha puntato su una cerimonia così sobria da chiedersi se valeva la pena lo sforzo del red carpet. Chi ha seguito l'arrivo delle celebrities sul famigerato tappeto rosso, non può scordarsi l'elegantissimo Billy Porter che provoca subito il pubblico e la stampa, con uno smoking a gonna di Christian Siriano, l'immagine che troveremo di più negli annali Oscars, poiché il resto della sfilata è stato una minestra riscaldata di volti scontati e gossip superficiali. Siamo lontani dalle mise trasparenti e spacchi profondi per provocare gli occhi più bigotti , di soli pochi anni prima. Entriamo nel Dolby Theater e ovviamente l'apertura della serata spetta ai Queen con uno scatenato e soddisfatto Brian May e il suo pupillo Adam Lambert, regalano un momento musicale di alto livello, che sicuramente ha fatto sognare i fan della band e commuovere gli stessi attori che hanno incontrato Freddy Mercury durante le loro carriere. Il film sulla storia dei Queen Bohemian Rhapsody si aggiudica quattro Academy Awards, tra cui miglior attore protagonista Rami Malek, il quale ha iniziato la sua ascesa con la serie TV Mister Robot, e adesso sta raggiungendo le vette da grande attore. Non era previsto che la scena musicale venisse però completamente rubata da Lady Gaga, la quale vince la statuetta d'oro per la miglior canzone originale, e canta assieme ad un impacciato Bradley Cooper la canzone Shallow tratta dal film in gara A Star Is Born. Da qualche anno sembra che ogni cerimonia venga dedicata ad un tema, o ad un problema politico, l'anno scorso fu sicuramente la rivincita delle donne, dopo gli scandali #'meeto Hollywood aveva portato in scena le sue guerriere, aveva reagito con la vincita di Frances McDormand come migliore attrice protagonista per Three Billboards Outside Ebbing, Missouri la quale fece alzare tutte le donne nominate in ogni categoria, e chiese al resto del pubblico di guardarle non per parlarci della festa post Oscars, ma di offrire loro un progetto in cui potessero esprimersi.

Nel 2019 i toni si placano, The Favourite viene nominato in più categorie, ma il film femminile per eccellenza non soddisfa a pieno le richieste Academy, arriva alla statuetta solo Olivia Colman come miglior attrice protagonista, la quale completamente scioccata e sorpresa fa intenerire anche lo spettatore più assonnato, stupisce e si fa apprezzare con la sua umiltà nei confronti della sua eccellente performance. Sul podio però torna il Blackpower, con un completino viola ornato d'oro Spike Lee irrompe nelle nominations, il suo amico Samuel L. Jackson presenta la categoria come miglior sceneggiatura non originale, e quando apre la busta non riesce a contenersi di gioia, così come Spike si lancia verso di lui saltandogli in collo come un bambino. Il discorso di Lee per la premiazione della sceneggiatura di BlacKkKlansman, si concentra sulla questione razziale statunitense, esorta a pensare che oggi abbiamo il potere di cambiare l'atteggiamento politico verso le minoranze, e che non è accettabile vedere situazioni anche solo simili a quelle di 40 anni fa: adesso abbiamo la scelta di stare dalla parte giusta della storia, e dopo aver ricordato le prossime elezioni chiude con un forte e chiaro "do the right thing!".

Black Panther invece è la rivelazione di questa edizione, i giudici hollywoodiani non potevano continuare a ignorare il successo Marvel e decidono di portare un supereroe nominato nella categoria miglior film, nell'anno in cui Stan Lee ci lascia e viene ricordato nel toccante memoriam in cui tra altri si cita Bernardo Bertolucci, ed Ermanno Olmi. Il cinecomic si aggiudica ben tre Academy Awards, due dei quali fanno diventare Ruth E. Carter e Hanna Beachler le prime donne afroamericane a vincere l'Oscar rispettivamente nelle categorie per miglior costumi, e per miglior scenografia.

Rimaniamo ancora nell'ambito dei fumetti con la conquista come miglior film d'animazione di Spider-Man: Into the Spider-Verse, non è la classica storia di Peter Parker, cambia nome e origine, si chiama Miles Morales ed è il primo Uomo Ragno afroamericano. Il cast d'eccellenza nei doppiatori originali vanta anche il nome di Mahershala Ali, il quale interpreta il personaggio di Prowler, e tra i disegnatori si nasconde anche una mano tutta italiana, Sara Pichelli la creatrice del protagonista e della sua elegante tuta rossa e nera. Un tono esotico lo trasmette sicuramente anche il miglior corto d'animazione Bao, porta alla luce la sindrome dell'abbandono di cui soffrono le mamme quando i figli lasciano il nido, tramite un raviolino a vapore che prende vita nel sogno di una signora cinese. L'aria si fa più latina e calda, quando Javier Bardem come annunciatore del "best foreign language", parla esclusivamente in spagnolo ed enuncia che non esistono frontiere e muri nel genio e nel talento, ogni paese e ogni lingua ha una storia da raccontare. Proprio per queste parole, non si può ignorare il trionfo del messicano Alfonso Cuaron, vincitore come miglior regista, miglior film straniero, e miglior fotografia. Nei suoi discorsi di accettazione, sottolinea il compito dell'artista di vedere dove gli altri non possono o non vogliono vedere, la sua protagonista è una colf indigena tra le 70 milioni senza diritti del lavoro, senza mai aver avuto un ruolo di primo piano. Il suo lungometraggio Roma riporta le cineprese in Messico, nell'infanzia del regista, un road movie di altri tempi che ha il compito di mostrare il paesaggio e la famiglia tramite le tecniche più intriganti del linguaggio cinematografico. Mahershala Ali è il miglior attore non protagonista grazie alla performance in Green Book, dopo aver dimostrato il suo talento nel seguito del crime drama True Dectetive, è stato scelto per la sua aplomb ed eleganza ad interpretare un cantate raffinato che insegna come scrivere lettere romantiche per l'amata del proprio autista, interpretato da Viggo Mortensen nominato nella categoria miglior attore non protagonista. Ali ringrazia il regista Peter Farrelly per aver lasciato spazio agli attori di esprimersi, e di avergli permesso di lavorare a fondo nel personaggio senza blocchi o indicazioni opprimenti, sarà anche per questo motivo e questo bel clima sul set che Green Book va ad aggiudicarsi l'Academy Awards come miglior film in assoluto. Farrelly felice come un bambino dedica l'oscar alla sorella che lo ha lasciato una settimana prima di iniziare le riprese, Charles B. Wessler lo dedica alla grande Carrie Fisher. La premiazione finale però ha reso il Dolby Theatre un covo in tensione, Spike Lee infatti si alza dalla poltroncina per poter abbandonare la sala, e se vi siete domandati il perché di questa reazione, beh non domandatelo a Spike potrebbe semplicemente rispondere "Next Question", come ha fatto con una giornalista la sera stessa alle interviste dopo lo show.

I vertici dell'Awards hanno fatto qualsiasi sforzo per rendere giustizia e omaggio ad ogni cultura, ogni storia, e protagonista non curandosi della provenienza, del colore o del sesso. La volontà e i buoni propositi non bastano, poichè se davvero lasciare un forte segno negli anni a venire era l'obiettivo, se davvero volevano dirci che qualcosa è cambiato, credo che dovessero cedere alle provocazioni di Blackklansman, già perché un film che parla del Ku Klux Klan non capita spesso, e quando un regista decide di trattare seriamente il problema del razzismo tutt'oggi purtroppo vivo e attivo come non si vedeva da decenni, è il caso di premiarlo senza mezzi termini o premi di contorno. Così piacerebbe finire la storia Oscars 2019, tuttavia l'epilogo è ben diverso, rimanendo ancora attaccati ad un surrogato del Codice Hays, vince un film che sta in mezzo al bigotto e alla modernità, una scelta che dopo tutte le aspettative create, fa cadere le braccia a tutti noi oltre che a Lee. Un decennio cinematografico che si chiude pieno di contraddizioni, con i piedi in troppe staffe, nonostante ciò, ci lascia delle alte fiamme di speranza per gli anni '20 più rivoluzionari di sempre.

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