a cura di Daniele Gaudiano
L'ottavo album dei Deerhunter “Why Hasn't Everything Already Disappeared?” si disvela immediatamente, almeno nelle intenzioni, a partire dal titolo. Una domanda sul perchè ancora il tutto non sia sparito, volato via, disperso. Le incalzanti strofe del cantante Bradford Cox, fanno appello alla cognizione umana di un ecosistema irreversibilmente consumato dai nostri abusi, fino a fare scomparire la nostra sopravvivenza. Del resto, se interpretassimo tale quesito esclusivamente da questa prospettiva, ne risulterebbe una considerazione fin troppo restrittiva, che ometterebbe alcuni aspetti della storia stessa del gruppo. L’enorme cifra di fragilità e delicatezza che trasuda dal corpo del “leader”, è superata soltanto dalla sua sensibilità e genialità: una condizione fisica segnata irreversibilmente dalla sindrome di Marfan unita a una dichiarata asessualità, non hanno fatto altro che generare in lui un vortice di solitudine dalle cui spire è stato salvato dalla creatività e dall’intesa empatica con gli altri membri del complesso. In aggiunta, la morte accidentale del bassista Justin Bosworth nel 2004 e successivamente del suo successore Josh Fauver (dal 2004 fino al 2012), scomparso nel 2018, o ancora il grave incidente stradale che ha coinvolto Cox nel dicembre 2015, hanno minato la stabilità e l’esistenza dei Deerhunter. A diciotto anni di distanza dalla loro formazione hanno saputo permanere, nonostante tutto. Loro non sono svaniti pur essendo stati allevati nelle mani della caducità.
Death in midsummer inizia il disco con il timbro iridescente del clavicembalo suonato dalla coproduttrice e collaboratrice Cate Le Bon, la musicista gallese che già aveva prodotto l’album Fading Frontier nel 2015, la quale ci introduce e ci conforta in un'atmosfera resa altrimenti desolata e alienante dalle parole di Bradford: “You’re all here and there/ And there’s nothing inside/ (...)Your friends have died/ And their lives, they just fade/ Away”. Il testo descrive anche un paesaggio fatto di colline avvelenate dalle industrie, quelle stesse industrie che ingoiano e annichiliscono il tempo di ogni individuo, e dove la sua vita si dissolve. Da qui inizia a prendere forma e a definirsi la posizione della band, che attraverso i versi del suo frontman, si schiera a favore di una reazione della coscienza collettiva contro il disastro ecologico post-consumistico di cui siamo artefici e vittime. Un grido all'ecologia che appunto aleggia in tutta l'opera, soprattutto in Element. In No one's sleeping il ritmo è incalzante, spensierato e luminoso come la melodia che lo sostiene, e si crea una sorta di ossimoro tra la stessa e il fervente clima di coercizione che Cox pare voglia denunciare:“ ...Great unrest/ In the country/ There's much duress/ Violence has taken hold...” . Da queste parole si potrebbe pensare che il cantante non voglia soltanto tacciare la società di violenza nei confronti del nostro pianeta, ma anche contro sé stessa in una nuova forma di autolesionismo sociale, per cui l'odio e la discriminazione hanno trovato nuovamente terreno fertile. Greenpoint gothic così come Détournement sono cadenzati da inflessioni kraut e post-punk: nella prima le tastiere evocano delle reminescenze di Bowie nel periodo berlinese o dell’album Metamatic di John Foxx, in un trip strumentale che sembra voglia librare da una realtà inquinata, da una Terra che abbiamo reso malata. In Détournement la voce del lead singer viene distorta al punto da risultare quella di un cyborg post-umano, che sorvola la superficie terrestre ammirandola dall’alto. È forse proprio in questi due brani che sembrano convergere alcune delle estreme incursioni sperimentalistiche di cui i Deerhunter ci avevano dato saggio nel progetto a tiratura limitata “Double Dream Of Spring” del 2018, le quali hanno siglato il culmine delle loro rimostranze avanguardiste, manifestate già in alcuni live dallo stesso cantante in versione solista, a cavallo tra il 2016 e il 2017.
Quella particolare peculiarità che denota la struttura musicale di Bradford Cox, diviene preminente in Element; in questo brano sembra che l'alternanza tra le due voci, chitarre e menti dei Deerhunter, ovvero quella dello stesso Cox e quella di Lockett Pundt, si sbilanci a favore del primo in funzione della consolidata formula stilistica che ricorda “Don't cry”- Halcyon Digest (2010), “Dream Captain”- Monomania (2013) o “Duplex Planet”- Fading Frontier (2015). Eccezion fatta per What Happens to people? dove la melodia sembra propendere verso le soluzioni armoniche di Pundt, così come nella traccia Tarnung, di cui firma il testo. What Happens to people? E' anche il brano forse più introspettivo e le riflessioni di Bradford vertono attorno la condizione di un'inesorabile isolamento. Gli effetti del synth bilanciano con la loro leggerezza, freschezza e speranza: sostengono l'equilibrio emotivo della struttura, là dove le inquisizioni esistenziali dell'autore “What happens to people/ What happened to you?/ What happens to people?/ They fade out of view” sembrano proiettarsi verso un atteggiamento remissivo e nichilsta. Futurism enuncia appieno la metrica del gruppo, scandita dalle infallibili battute del batterista Moses Archuleta il quale, qui come in Plains, No one's sleeping, e in Element, ci dà un saggio del campionario dei registri pop della band. Tarnung è la track dove Lockett Pundt e Cate Le Bon sono al canto. Un lento accompagnamento, una monoritmica post-rock in cui le loro voci compongono un coro etereo, e l'addizione del suono cristallino dello xilofono dalle sonorità giapponesi creano la suggestione di trovarsi all’interno di una grotta di ghiaccio, in cui il lucciolìo prodotto da una danza di barbagli di luce biancazzurra corrispondono alle stesse vibrazioni dello strumento idiofono. Infine c'è Nocturne, che riassume nella sua struttura tutti gli enunciati di questo disco, con le parole che vanno a dissiparsi all'interno di un'amalgama strumentale e và a mostrarci di fatto l'epilogo di questa splendida incursione compiutasi fra coerenti sviluppi del loro pensiero musicale e l'integrazione di una sperimentazione citazionista, che si slancia dal kraut, passando per Low di David Bowie, per consacrare la propria ricerca sotto spoglie ancor più mature.
“Why hasn't everything already disappeared?” potrebbe essere definito in maniera calzante evocando il concetto espresso dal titolo della traccia Détournement, che è anche il nome di una pratica artistica degli anni ‘50 del novecento sviluppata all’interno del movimento Internazionale Situazionista e significa letteralmente deviazione, distrazione o deriva, intesa come intenzionale disorientamento e come un vagare senza una meta: lo scopo di questo smarrimento deliberato era proprio quello di estendere i limiti delle nostre menti verso nuove percezioni estetiche della realtà, anche geografica che ci ospita. Come si può non pensare che questa evanescenza sensoriale, non sia anche l’obbiettivo di questa opera? I Deerhunter hanno reso la propria musica un medium per veicolarci proprio lì, oltre le soglie dell’ordinaria intuizione, dove impera il continuo rinnovamento.
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